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Sull'Articolo Beijing - China

La Cina: Il punto.

di Alessandro De Marco - info@estaplace.com (é stato visto 8672 volte)

Negli ultimi tempi si fa un gran parlare della Cina. Da più parti si sentono cose del tipo: La Cina ci fa concorrenza sleale, i cinesi uccidono il Made in Italy contraffacendo i nostri prodotti, i cinesi inquinano l’ambiente, in Cina non si rispettano i diritti umani e si vendono gli organi dei condannati a morte, i cinesi stanno colonizzando interi quartieri delle nostre città, gli immigrati cinesi in Italia si curano in ambulatori cinesi abusivi mascherati da farmacie, le battone cinesi rubano il lavoro a quelle nostrane, etc.
   
   Da un certo punto di vista, è tutto vero. La realtà cinese, tuttavia, è un fenomeno troppo complesso per ammettere risposte tanto nette e semplicistiche. Sentire un leghista che si lamenta dei cinesi, argomentando con la concorrenza cinese i problemi dell’economia italiana, quando in realtà, tale passività nella concorrenza, è solo la conseguenza e non certo la causa dei nostri malesseri, mi fa sorridere.
   
   Nelle parole di un leghista, o anche del nostro giovane premier, c’è quel senso di superiorità e supremazia  culturale presunta, che è proprio dell’ignoranza. La realtà cinese non può e non deve essere valutata in base a criteri occidentali. Non si possono banalizzare ed appiattire 4000 anni di civiltà estremo orientale, comparandola al nostro sistema. Sarebbe come tentare di misurare la pressione atmosferica usando una bilancia invece di un barometro. Non esiste una cultura superiore alle altre, e, per questo motivo, è illegittimo giudicare un altro popolo ed un altro paese in base a criteri non interni a quel sistema.
   Molti, probabilmente, non immaginano di quante delle scoperte e delle invenzioni, che ci hanno portato a diventare come siamo, siamo debitori alla Cina. L’immagine preconcetta di povertà ed inferiorità, ci deriva, in qualche modo, dalla situazione di svantaggio in cui si trovò a navigare la Cina nel XIX secolo, momento dell’incontro più intenso del Regno del Centro con il resto del mondo.

La depressione e la decadenza dell’ultima dinastia imperiale, la sottovalutazione, da sempre effettuata dai cinesi, del commercio e del rapporto con stati stranieri, hanno compromesso notevolmente lo sviluppo cinese e l’immagine degli occidentali su tale popolo.
   
   La civiltà cinese ha origini più antiche di quella occidentale o euro-centrica. Ma soprattutto, queste origini, sono di natura diversa. A differenza della civiltà europea, quella cinese è di origine fluviale. Il popolo Han, che dalla sua zona di genesi, la valle del fiume Wei, si è diffusa nel resto del sub-continente cinese, come altre civiltà sviluppatesi nel mondo, la civiltà del Nilo o antico-egiziana, per esempio, era basata su rapporti di forza molto delineati. Una civiltà fluviale, per esistere e svilupparsi, ha bisogno del controllo di grandi masse. La vita era basata sull’attività del grande fiume, lo Huanghe, o fiume giallo, ed i suoi cicli. Per questo motivo, storicamente, i cinesi sono stati, essenzialmente, un popolo di contadini. Ed essenzialmente, in tutta la cultura cinese, c’è sempre stata un’elite culturale o sociale di burocrati, destinata al controllo di tali imponenti masse. Allora come oggi, senza l’azione di coordinazione effettuata dalla classe burocratica, tale società di grandi masse, non avrebbe potuto e non può sopravvive. Solo così si può spiegare il perdurare di un sistema così poco democratico, in un paese, che, da nessun punto di vista, può essere considerato sottosviluppato. Se non ci fosse una programmazione economica di tipo statalista, una coercizione delle masse nei vari ambiti, l’agricoltura innanzitutto, che ancora impiega la stragrande maggioranza della forza lavoro cinese, quel popolo della valle del Wei sarebbe stato da tempo sconvolto da crisi e carestie, perdendo il senso di unità e di nazione, che da sempre lo contraddistingue.
   Per questo motivo mi fa ridere la pretesa di applicare il nostro concetto di diritti umani, ad una società, che l’esigenza di tali diritti non l’ha mai sviluppata.

La scoperta dell’individualismo, in un paese che non ha mai avuto al centro del suo sistema sociale o filosofico l’uomo, ma la massa, sarebbe, a dir poco, destabilizzante. Immaginare di essere solo un individuo, uno su un miliardo e trecento milioni di altri individui, sarebbe sconvolgente per un cinese, di qualunque censo esso sia.
   
   E’ un dato di fatto che la Repubblica Popolare, lo sia solo di nome. Non c’è nulla nella Cina di oggi, che ricordi l’ordinamento di una repubblica socialista. Non c’è tutela sociale, non ci sono più le corporazioni dei mestieri, che hanno sempre svolto un ruolo essenziale nella vita del singolo cinese, non c’è più l’assistenza sanitaria gratuita o l’istruzione. Sempre più il gigante cinese si sta avviando verso l’economia di mercato,  assorbendo tutte le conseguenze negative che questa politica può portare. Nonostante ciò, persiste il regime centrale. Persiste per molte ragioni, alcune delle quali sono già state accennate.
   Una delle ragioni per cui il singolo cinese, non sente il disperato bisogno di lottare per la sua libertà individuale, è la mancanza delle radici giudaico-cristiane. La maggior parte dei cinesi non si pone il problema di una vita futura. Tutto ciò che lo preoccupa, è il benessere. E l’apertura all’economia di mercato ha disinnescato l’unico rischio di collasso verso cui la millenaria civiltà cinese poteva andare incontro. Una massa di un miliardo di persone che recriminavano un maggior benessere economico, e non maggiori libertà (causa principale delle sopravvalutate rivolte di piazza Tiananmen; Nel 1989 gli studenti non si immolavano per la causa della libertà, come i media occidentali volevano far credere, ma per quella del benessere economico.).
   
   L’economia cinese corrode sempre di più i profitti dell’impresa italiana. Ai populisti viene naturale, allora, attaccare il gigante asiatico, prendendolo come un perfetto capro espiatorio, origine di tutti i mali, verso il quale, per quanto si possa avere capacità amministrative eccelse, comunque si può far poco. In realtà l’economia italiana, è in affanno principalmente perché è malata al suo interno. L’economia americana non patisce la concorrenza cinese, se non limitatamente. Ciò è dovuto essenzialmente alla natura delle produzioni di quell’economia. Non possiamo illuderci di avere un’economia sana, e di considerarci competitivi, se basiamo la nostra economia sulla produzione di beni a scarso valore tecnologico aggiunto. L’industria italiana è costituita quasi per la sua interezza, dalla piccola industria, che produce beni semplici. L’unico fattore che incide nella produzione di tali beni, sono il costo della manodopera e la tutela ambientale (che i cinesi non hanno connaturata nel loro sistema di valori), costi che non potranno mai essere allineati a quelli orientali. Per questo motivo non serve a nulla devastare il nostro stato sociale, introducendo forme sempre di più spinte di precarietà del lavoro, o alzare dazi doganali. Soltanto la ricerca e l’innovazione tecnologica, l’allineamento a standard qualitativi più alti, può permetterci di competere alla pari con le tigri asiatiche.
   
   La Cina produce merci contraffatte. E’ vero. Ma quale effetto può avere la concorrenza di una borsa fac-simile cinese di poche decine di euro su una borsa Prada originale da diverse centinaia? Anche qui, si recrimina solo per non guardare in faccia la realtà. Stiamo parlando di prodotti completamente diversi. Chi compra una borsa Prada Made in China non è un italiano,o un europeo, che ha risparmiato centinaia di euro, ma un italiano, che, comunque, non se la sarebbe potuta permettere una borsa di Prada, ed avrebbe optato per un equivalente di quella contraffatta, magari senza marchio. Perché chi può acquistare beni di lusso, in qualsiasi parte del mondo, Repubblica Popolare Cinese inclusa, non si accontenta di un falso. E la differenza tra l’originale e la contraffazione, è più o meno la stessa che c’è tra la notte e il giorno.
   I cinesi invadono le nostre città, preferiscono mangiare il loro cibo e curarsi secondo la loro medicina. E dove sarebbe il problema? Perché dovremmo avere la pretesa di omologare ai nostri standard queste persone? Perché la nostra civiltà è migliore? E chi può dirlo?
   Ed anche il problema del mancato rispetto dei diritti umani in P.R.C. è un falso problema. Perché, come detto, è un modo ipocrita di confrontarci con un'altra società. Per valutare la situazione dei diritti nella repubblica popolare, che adesso fa tanto scalpore, dobbiamo andare a vedere cosa succede negli altri stati cinesi, che, se volessimo vedere la risonanza che hanno sui media, dovrebbero essere tutti dei paradisi in terra. Andiamo a vedere quello che succede a Taiwan, a Singapore, a Hong Kong,e  volendoci spingere un po’ oltre, ciò che accade nell’universalmente riconosciuto democratico Giappone. A Taiwan, le prime ed uniche elezioni libere, si sono svolte solo qualche anno fa. Nonostante sia stato retto da una dittatura di tipo fascista, Taiwan è passato per il paradiso delle libertà, in Occidente, per oltre 40 anni. A Singapore le elezioni non ci sono. A Singapore i reati vengono puniti con punizioni corporali. A Singapore, il figlio dell’ ambasciatore canadese, è stato punito con 40 frustate per aver graffitato un muro (ed era il figlio di un ambasciatore, figurarsi cosa avrebbero fatto ad un normale cittadino!). A Singapore si è puniti con la pena di morte per molti più reati per i quali si è puniti in Cina. Però di Singapore i media non parlano, ma solo per il fatto che la sua economia non ci fa paura e non è stato eletto a capro espiatorio.
   La pena di morte è in vigore anche in Giappone, ed è eseguita in modo molto più cruente che in Cina. Al condannato non viene comunicato il giorno dell’esecuzione. Nel braccio della morte, ogni giorno ha diritto ad un’ora d’aria. Al termine del corridoio, gli si aprono alla vista due porte, una a destra ed una a sinistra. Se quel giorno si apre la porta di destra, avrà la sua ora d’aria, se si apre la porta di sinistra, non avrà mai più bisogno di ore d’aria. E l’avvenuta esecuzione viene comunicata a tumulazione (il cadavere non viene nemmeno restituito alla famiglia) avvenuta.
   
   Questo è il democratico Giappone.
   
   Note sull'autore
   
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